A partire dall’anno scolastico 2013/2014, la Scuola Secondaria di Primo grado “Fucini”, con sede in via Quarantola 15, e la Scuola Secondaria di 1° grado “Roncalli”, con sede in via Croce 2, si sono unite in un’unica comunità educante ed educativa, sinergicamente e collegialmente operanti sotto la guida di un’unica dirigenza. La Scuola Secondaria di primo grado “Fucini” funge da sede centrale, la sede della Scuola Secondaria di primo grado “Roncalli” costituisce il plesso succursale.

Scuola Secondaria di I Grado “Renato Fucini”

Scuola Secondaria di I grado “Roncalli”

Deve la sua denominazione al preside Antonio Amelina, che diresse la scuola media di Gragnano negli anni dal 1961 al ’73 e poi dal ‘75 al ’78 e scelse il pittore e scrittore maremmano Renato Fucini per intitolargli la scuola.
Renato Fucini nacque l’8 aprile 1843 a Monterotondo, frazione di Massa Marittima, in Maremma.
Figlio di un medico della commissione governativa delle febbre malariche, frequentò le scuole elementari dai Barnabiti a Livorno. Difficoltà finanziarie spinsero la famiglia a ritirarsi nell’abitazione di Dianella. In seguito, quando il padre ottenne la condotta medica a Vinci, Fucini poté studiare privatamente a Empoli. Nel 1863 si laureò in Agraria all’Università di Pisa, dopo aver lasciato gli studi di Medicina, e iniziò a lavorare come aiuto nello studio tecnico di un ingegnere fiorentino. Nello stesso periodo cominciò a frequentare lo storico locale ”Il Caffè dei Risorti”, dove, prendendo spunto da vari episodi tragicomici narrati da alcuni frequentatori, iniziò a comporre sonetti.
Grazie a questi componimenti cominciò a farsi conoscere come poeta e nel 1871 uscirono i suoi “Cento sonetti in vernacolo pisano”, firmati Neri Tanfucio (pseudonimo anagrammatico di Renato Fucini). Esordì come prosatore nel 1877 con un reportage su Napoli (“Napoli a occhio nudo: Lettere ad un amico”). In seguito al successo letterario, si dedicò all’insegnamento, diventando professore di Belle Lettere a Pistoia e successivamente ispettore scolastico. A quest’ultima attività sono legate le novelle della raccolta “Le veglie di Neri” (1882) ambientate prevalentemente in Maremma; come pure le successive raccolte “All’aria aperta” e “Nella campagna toscana”. I motivi prediletti sono quelli della vita agreste nelle zone che Fucini conosceva meglio: la Maremma e i borghi dell’Appennino pistoiese.
Dopo aver lavorato alcuni anni presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze, nel 1906 fu messo in pensione. Nel 1916 venne eletto socio dell’Accademia della Crusca. La morte lo colse il 25 febbraio del 1921. L’ultima opera curata dall’autore, edita poco dopo la sua morte, “Acqua passata: storielle e aneddoti della mia vita” (1921), contiene degli scritti brevissimi, generalmente autobiografici.

La scelta del nome per il plesso “Roncalli”, molto probabilmente si deve alla forza e alla tenacia di un grande uomo, che partendo da condizioni di vita difficili, “Partendo dal basso, è arrivato fino a Dio”.
Papa Giovanni XXIII, nato Giuseppe Angelo Roncalli, il 25 novembre 1881 è stato il 261º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica (il 260º successore di Pietro), primate d’Italia e 3º sovrano dello Stato della Città del Vaticano (accanto agli altri titoli connessi al suo ruolo). Fu eletto papa il 28 ottobre 1958 e in meno di cinque anni di pontificato riuscì ad avviare il rinnovato impulso evangelizzatore della Chiesa Universale. È ricordato con l’appellativo di “Papa buono”.
A differenza del suo predecessore, Eugenio Pacelli, che era di stirpe nobile, Angelo Roncalli proveniva da una famiglia di umili origini. Venne ordinato sacerdote il 10 agosto 1904 dall’Arcivescovo Giuseppe Ceppetelli, poi, successivamente, nel 1905 monsignor Giacomo Radini-Tedeschi, allora nuovo vescovo di Bergamo, lo nominò suo segretario personale. Roncalli si segnalò per la dedizione, la discrezione e l’efficienza.
Il suo pontificato fu segnato da episodi indelebilmente registrati dalla memoria popolare, oltre che da un’aneddotica celeberrima e vastissima. I suoi «fuori programma», talvolta strepitosamente coinvolgenti, riempirono quel vuoto di contatto con il popolo che le precedenti figure pontificie avevano accuratamente preservato come modo di comunicazione distante e immanentista del «Vicario di Cristo in Terra», quale è il ruolo dogmatico del pontefice. Per il primo Natale da papa visitò i bambini malati dell’ospedale romano Bambin Gesù, ove benedisse i piccoli, alcuni dei quali lo avevano scambiato per Babbo Natale.
Il giorno di santo Stefano, sempre del suo primo anno di pontificato, il 26 dicembre 1958, visitò i carcerati nella prigione romana di Regina Coeli, dicendo loro: «Non potete venire da me, così io vengo da voi… Dunque eccomi qua, sono venuto, m’avete visto; io ho fissato i miei occhi nei vostri, ho messo il cuor mio vicino al vostro cuore… La prima lettera che scriverete a casa deve portare la notizia che il papa è stato da voi e si impegna a pregare per i vostri familiari». Memorabilmente, accarezzò il capo del recluso che, disperato, inaspettatamente gli si buttò ai piedi domandandogli se «le parole di speranza che lei ha pronunciato valgono anche per me».
Uno dei più celebri discorsi di papa Giovanni, forse una delle allocuzioni in assoluto più celebri della storia della Chiesa, è quello che ormai si conosce come «Il discorso della luna». L’11 ottobre 1962, in occasione della serata di apertura del Concilio, piazza San Pietro era gremita di fedeli. Chiamato a gran voce, Roncalli decise di affacciarsi, per limitarsi a benedire i presenti. Poi si convinse a pronunciare, a braccio, un discorso semplice, dolce e poetico, con un richiamo straordinario alla luna, pur tuttavia contenente elementi del tutto innovativi:
«Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero. Qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera – osservatela in alto – a guardare a questo spettacolo».
Poi il Papa salutò i fedeli della diocesi di Roma (essendone anche il vescovo), e si produsse in un atto di umiltà forse senza precedenti, asserendo tra le altre cose:
«La mia persona conta niente, è un fratello che parla a voi, diventato padre per volontà di Nostro Signore, ma tutti insieme paternità e fraternità è grazia di Dio (..)
(…) Facciamo onore alle impressioni di questa sera, che siano sempre i nostri sentimenti, come ora li esprimiamo davanti al cielo, e davanti alla terra: fede, speranza, carità, amore di Dio, amore dei fratelli. E poi tutti insieme, aiutati così, nella santa pace del Signore, alle opere del bene».
E, sulla linea dell’umiltà, impartì un ordine da pontefice con il parlare di un curato:
«Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa. Troverete qualche lacrima da asciugare, dite una parola buona: il Papa è con noi, specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza». Giovanni XXIII morì il 3 giugno 1963.